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E’ il 1999 quando il software Jeskola Buzz, progettato da Microsoft, finisce tra le mani di diversi giovani aspiranti producer. Trattandosi di uno strumento freeware sono soprattutto gli artisti emergenti ad impossessarsene utilizzandolo per costruire i primi pattern sonori, con la speranza di confezionare lavori appetibili per le label più in auge. Tra loro c’è anche il da poco ventenne James Alexander Goodale Holden, il quale ha iniziato a cimentarsi in studio perdendosi nei meandri delle più disparate influenze musicali. Bastano pochi mesi al ragazzo inglese per rilasciare “Horizon”, una traccia trance che a distanza di quasi vent’anni ancora raccoglie consensi da parte degli appassionati del genere. Eppure la strada di James non seguirà una direzione predeterminata e più volte nel corso della sua carriera assisteremo ad eclatanti colpi di scena.
Il primo è sicuramente il progetto Mainline al quale Holden partecipa componendo brani come “Innerspace” ed il più celebre “Narcotic”. E’ l’inizio del nuovo millennio e James entra subito nelle mappe della club culture internazionale grazie a questa release su Bedrock Records, piattaforma dell’allora richiestissimo John Digweed. Nell’estro del ragazzo tuttavia ha un ruolo fondamentale la passione per le scienze e soprattutto per la matematica sulla quale si applica niente meno che alla Oxford University, sospendendo temporaneamente l’attività in studio. Passano gli anni, la scena si evolve, i Sasha e Digweed forti di un hype straordinario abbandonano la vetta delle classifiche cedendo il passo prima alle icone della house music americana, poi ai profeti del minimalismo tedesco.
Ed è proprio quando si crede che non sia più possibile reinventarsi, azzardare e mischiare le carte che Holden compare nuovamente negli annali. Questa volta però con uno dei progetti più ambiziosi ed interessanti da molti anni a questa parte: Border Community. L’illuminante scoperta di artisti come Fairmont e Nathan Fake spingono Holden e la sua creatura ad un inatteso successo contro l’establishment microhouse imperante. Le visioni di “A Break In The Clouds”, suo album di debutto, fanno gioire la critica e trovano un perfetto compromesso sul dancefloor grazie alla celebre “The Sky Was Pink”, traccia rilasciata ben due anni prima, ma consacrata definitivamente proprio attorno al 2006. C’è chi la definisce minimal, chi parla di elettronica di più ampio respiro, chi ricorda le influenze progressive del primo Holden ma ciò che conta è che Border Community per molti anni diventa un punto di riferimento importante nonostante la scarsa volontà di protagonismo dei suoi componenti.
Precursore di tecnologie adatte sia al live che al deejaying, James si rinchiude nel suo studio sperimentando e divertendosi. Il suo nome ritorna lentamente sotto traccia come se fosse fisiologico per lui godere di alcuni periodi di torpore artistico. Le sempre più rare apparizioni discografiche sono unicamente per firmare remix prestigiosi per artisti quali Depeche Mode, Madonna e Britney Spears. Le critiche a queste scelte sono aspre e, come spesso accade, portare avanti dagli oltranzisti della scena. Holden, da sempre poco attento a queste dinamiche, risponde con un sorriso e si volta dall’altra parte conscio che c’è ancora tanta musica da scoprire, tanti suoni da catturare e nuove frontiere da esplorare. La risposta arriva attraverso i fatti con una serie di remix per Radiohead, New Order e Mercury Rev a dimostrazione che l’artista inglese sa dove e come colpire all’occorrenza.
Il cambio di passo avviene nel 2013 con l’uscita di “Inheritors”, album che rende Holden iconico e trasversale. Non sono più gli amanti della trance o gli adepti della minimal a proferire il suo nome con nostalgia poiché il suo range si estende largamente strizzando l’occhiolino a tutta la new indie generation nata sotto i colpi di artisti quali Moderat, Four Tet o Caribou. Eppure Holden non è ruffiano, non è catchy, non è un personaggio più grande della sua stessa musica ed è questo approccio che lo rende credibile in ogni sua scelta. James passa dunque dalla consolle ai palchi dei più importanti festival mondiali, questa volta non più come fine selector o audace dj, bensì come act live, immerso in un mondo di macchine e cavi in cui perdersi assieme a Camilo Tirado, percussionista di fiducia. Ancora una volta la nuova veste dell’inglese ora trentasettenne vince e convince. “Renata” diventa un brano di riferimento di questa sua nuova veste e mentre JazzRe:Found si avvicina: a noi non resta che chiederci “What’s next?”.