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Miss (you) Sharon Jones!

R.I.P. Sharon Jones: un ricordo accorato della vulcanica cantante soul americana – recentemente scomparsa all’età di 60 anni – attraverso le parole del musicteller Federico Sacchi

 

Una vocalità pirotecnica ed un temperamento esplosivo. Gli esordi da corista, nel solco della tradizione gospel. Il successo conquistato dopo anni di sacrifici insieme ai Dap-Kings, nel segno di un funk contagioso.  Tante collaborazioni illustri (da Michael Bublé a Lou Reed passando per David Byrne e Fatboy Slim) e soprattutto tanti concerti memorabili: per grinta e attitudine Sharon Jones veniva spesso paragonata a sua Maestà James Brown.
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Si è spenta venerdì 18 novembre di cancro al pancreas, all’età 60 anni: la malattia la logorava da tempo.
Una Regina del soul che ha raccolto tardi i frutti del suo lavoro ma ora trova posto nell’Olimpo della Black Music.
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Vogliamo ricordarla attraverso le parole del musicteller Federico Sacchi, che nel corso dell’ultima edizione di SeeYouSound (festival torinese dedicato al cinema di argomento musicale) ha curato l’introduzione alla visione di “Miss Sharon Jones!”, docu-film di Barbara Kopple che da un lato ripercorre l’incredibile percorso esistenziale e artistico della cantante americana, dall’altro racconta la tempra fuori dal comune con la quale questa donna fuori dall’ordinario ha affrontato la malattia.La stessa con la quale ha affrontato tutta una vita.  Ed ora, inesorabile, la morte.
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Ciao Sharon, buon viaggio!
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Ecco come Federico Sacchi introduceva il documentario su Sharon Jones:
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«Negli anni ’90, dopo l’edonismo e il rifiuto a priori del passato della decade precedente, una generazione di giovani musicisti e appassionati di musica hanno iniziato a rispolverare le collezioni di dischi dei loro genitori. C’è chi, partendo da quegli ascolti, decide di mischiare quelle sonorità con quelle contemporanee, e chi sostiene che i dischi registrati negli anni ’60 e ’70 rappresentino lo stato dell’arte della musica, soprattutto a livello di suono.
A questa seconda categoria appartiene Gabriel Roth, noto nel suo quartiere di Bushwick, Brooklyn, come Bosco Mann. Bosco è un grande appassionato di funk e soul, suona il basso è ha un’ossessione per le registrazioni analogiche. Non vuole sentir parlare di computer e mixer digitali, passa le sue giornate a smanettare con nastri da 8 piste e registratori a bobina. La vita della protagonista del film che state per vedere ha una svolta il giorno in cui incrocia la strada di questo ragazzo.

Nel 1996, Sharon Jones ha 40 anni, e le hanno sempre detto di essere troppo nera, grassa e bassa per diventare una star. Sharon canta da sempre, prima nella chiesa, poi come corista non accreditata in diversi dischi soul e come solista a metà dei matrimoni di Brooklyn, ma per campare lavora come agente penitenziario a Rikers Island. Un giorno viene chiamata per registrare i cori nel 45 giri che segna il ritorno sulle scene di Lee Fields & The Expressions, una leggenda minore del funk di fine anni 70, conosciuto come “il piccolo James Brown”. Durante la registrazione di “Steam Train” Bosco, che è il bassista e produttore di quella session, rimane colpito dalla voce della Jones, e decide di farle registrare le canzoni “Switchblade” e “The Landlord”, che include nell’album della sua band Soul Providers. Insieme a Philip Lehman, Bosco qualche mese dopo mette su l’etichetta Desco Records e uno studio di registrazione completamente analogico, e inizia a pubblicare una serie di 45 giri così fedeli nel suono e nell’attitudine al funk e al soul degli anni 60 e 70 che, visto che le date di pubblicazione non sono riportate sulle etichette dei dischi, spesso i negozianti spacciano quelle registrazioni per rarità d’annata. Il primo 45 giri della Desco si intitola “Dam it Hot part 1&2”, e a cantarlo è Sharon Jones, che molla il suo lavoro in prigione per inseguire il suo sogno insieme a questa compagine di visi pallidi pazzi per il soul, che la accolgono come un membro della famiglia.

Gli anni passano, ma il successo stenta ad arrivare. Dopo un litigio con Philip, Bosco fonda la Daptone Records, e una formazione parzialmente rimaneggiata dei Soul Providers si trasforma nei Dap Kings, una perfetta macchina del groove paragonabile alle grandi inhouse band della Stax e della Motown. Nel 2002 esce il primo album dell’etichetta, “Dap Dippin’ with Sharon Jones & The Dap-Kings“, il debutto sulla lunga distanza per la cantante che, a 46 anni, dopo mille sacrifici inizia a raccogliere i frutti di una gavetta 30ennale.

Anche perché il mondo musicale è cambiato nel frattempo, e i primi anni del XXI secolo sono quelli della riscoperta di certe sonorità vintage, che ammaliano un’intera generazione di giovani musicisti. Tra questi c’è una ragazza inglese di 22 anni che, dopo avere registrato un debutto a cavallo tra Jazz e modern R&B, nel 2005 viene folgorata sulla via di Damasco dall’ascolto di “Naturally”, il secondo album di Sharon Jones. Quella ragazza si chiama Amy Winehouse e dice al suo produttore Mark Ronson che vuole i Dap Kings come band per registrare il suo nuovo album e Bosco Mann come tecnico del suono. Quando “Back to Black” esce a fine 2006, la retrosoul mania dilaga in tutto il mondo, e Sharon, Bosco e i Dap Kings hanno l’occasione che aspettavano da tutta la vita. Come una vera famiglia, senza montarsi la testa e lavorando duro, si ritagliano uno spazio nel panorama internazionale, guadagnandosi la fama di performer live eccezionali macinando centinaia di concerti in tutto il mondo. A Sharon non sembra vero, finalmente le cose hanno iniziato a girare per il verso giusto.

Quella che state per vedere è la reazione della Jones alla più brutta notizia che una persona possa ricevere. Con grande sensibilità e garbo, il premio oscar Barbara Kopple racconta la storia di un’artista e una donna straordinaria, e di come le sue due famiglie, quella di sangue e quella che si è scelta, i Dap Kings, hanno affrontato quella notizia. Buona visione.»

Il documentario ha poi vinto il premio come miglior lungometraggio in concorso al SeeYouSOund Festival. Ci sembra significativo riportare anche il virgolettato che accompagnava la scelta della giuria:

“Abbiamo scelto questo film perché siamo stati particolarmente commossi dal coraggio, dalla determinazione e dallo spirito della protagonista Sharon Jones nell’affrontare una così difficile circostanza. Inoltre siamo stati impressionati dall’abilità tecnica e dalla sensibilità delle riprese che hanno saputo creare una connessione intima, calda, spontanea e fortemente emotiva con il personaggio; infine, siamo stati molto ispirati dalla solidarietà e dall’etica dei Dap Kings e dal potere taumaturgico e terapeutico della musica.”

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